Splendida questa dissertazione sul polpo di Jeanne Carola Francesconi dal libro “La cucina Napoletana”:

“Il polpo vivo è orrendo a vedersi, però se appare cotto sulla vostra mensa, le sue qualità negative scompariranno d’incanto: quasi sembrerà un bellissimo fiore rosa violaceo con i sepali accartocciati, che, quando comincerete a gustarlo meriterà i più entusiastici apprezzamenti. Attenzione però che questo polpo sia “verace” (vero) e che abbia due file parallele di ventose sui tentacoli, sicuro segno di riconoscimento; ché se ne avesse una sola fila sarebbe un volgare “sinisco”, abitatore dei bassifondi anziché degli scogli, come il suo nobile parente.
La differenza, però, non è tutta qui: il verace si ammanta di una veste maculata di marrone con preziose sfumature rosa, mentre l’umile sinisco, si accontenta di un meno raffinato e vivace paludamento.
Spiega un vecchio pescatore di Pozzuoli che tra le due razze non vi sono assolutamente rapporti, in tanto e lontane sfere essi vivono; ognuno se ne sta per conto suo e si ignorano a vicenda.
Sia detto, tuttavia, a difesa del povero modesto sinisco che, anche se esso ha meno profumo di quello verace, non è poi addirittura da disprezzarsi. In mancanza del più gustoso suo simile, potreste accettarlo, specialmente se sarà affogato in un sugo in cui l’olio e il pomodoro mescolati alla sua naturale, se pur limitata fragranza, lo avranno avvolto con l’aglio e il prezzemolo, in un saporito guazzetto. Lessato alla “luciana” o condito soltanto con olio e limone non saprei consigliarvelo: tanta semplicità dovrebbe essere unico appannaggio del più profumato “verace”.
Perfino nel modo di farsi catturare v’è diversità fra le due specie: il “sinisco”, abitando più al largo, viene banalmente pescato dai percherecci con la rete mentre il polpo verace, specialmente attratto dal bianco, viene adescato da una candida piumetta, o da un cencio parimenti bianco, collocato al centro di una piccolissima ancora a cinque bracci che si chiama “filatiello”. E può anche pescarsi con un’anfora di creta (la “mummarella”) pure dipinta di bianco e contenente pietre altrettanto candide, che si cala sul fondo attaccata ad una corda presso una roccia.

 Il “verace”, se la vede, la vuota dei ciottoli e vi si istalla come in un comodo nido, e il pescatore, avvertito dalle pietre sparse all’intorno, tirando su la “mummarella”, lo cattura. Ma v’è un terzo modo col quale l’aristocratico polpo, finendo in bellezza, dà luogo ad un eccezionale spettacolo.
Avete mai visto nell’incanto di una notte d’estate occhieggiare tremolanti sul mare del golfo di Napoli, mille e mille luci in lunghe file o a gruppi? E’ uno spettacolo fantastico che incanta chi lo guardi da terra. Sono le “lampare”. Ma ancora più suggestivo è vedere passare lungo la costa una barca isolata che avanza lentamente nel buio, illuminando un breve tratto di mare con la sua lampada fissa sulla prua. Il mare diventa in quel punto d’argento, contrasta con la sagoma oscura della barca e, a tratti, si vedono muoversi e chinarsi misteriose le ombre dei pescatori, emergere nel cerchio illuminato un viso subito scomparso, balenare un “lanzaruto”. E ieratici gesti e luccichio sono accompagnati in cadenza dal lento e sordo tonfo dei remi, unico a rompere l’assoluto silenzio. Di colpo scatta il “lanzaruto”, si mmerge nell’acqua in un breve ribollire di spuma leggera, riemerge gocciolante di argento. e non si ha nemmeno il tempo di vedere se abbia catturato la preda che è già scomparso nel buio. Con esso lentamente si allontana l’ombra dela barca preceduta dal suo cerchio di luce e il mare si spegne, ma vi resta in fondo all’animo il ricordo di una fuggevole visione di incomparabile bellezza. “